DOPO LA BOCCIATURA DEL CENSIS
ASSOCIAZIONI ED ESPERTI SOLLEVANO ALTRE PERPLESSITÀ
Tv, ombre lunghe sul parental control
Il
parental control in tv mostra tutti i suoi limiti. È quanto denuncia il
Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese, nella
sezione dedicata a “Comunicazione e media”: “Introdurre il principio,
come ha fatto la recentissima normativa approvata a luglio del 2012, che
si può affidare a un piccolo robot nascosto nel televisore la
protezione dei nostri figli, la selezione delle immagini e le storie che
entrano nel loro immaginario e influenzano la loro personalità futura, è
un’abdicazione rischiosa sul piano educativo e un inchino ai soli
interessi del mercato”.
Su
questa urgente e spinosa problematica, particolarmente avvertita tanto
dai genitori quanto da tutti gli educatori, abbiamo raccolto il parere
di tre presidenti di associazioni aderenti al Copercom: Roberto Gontero (Agesc), Davide Guarneri (Age) e Andrea Melodia (Ucsi). Inoltre abbiamo stimolato il giudizio di due addetti ai lavori: Franco Mugerli (Presidente del Comitato media e minori) e Elisa Manna (Responsabile delle politiche culturali del Censis).
La
valutazione complessiva dei loro interventi ci restituisce un giudizio
sostanzialmente negativo sul parental control come strumento di tutela
nei confronti dei programmi tv nocivi per i nostri figli e nipoti. Da
parte di tutti la richiesta di non lavarsi le mani dinanzi a questa
emergenza educativa.
Roberto Gontero (Associazione genitori scuole cattoliche):
“Il ‘fallimento’ del parental control in tv, denunciato dall’ultimo
Rapporto Censis, conferma la preoccupazione delle associazioni di
genitori in merito alla sua introduzione con il concomitante abbandono
delle fasce protette. Lo strumento può essere anche utile, ma non deve
essere l’unico mezzo a difesa dei minori. La loro educazione è, infatti,
una priorità assoluta per tutta la società e necessita di una vasta
rete di attenzioni e interventi, creando in particolare alleanze fra le
famiglie e i responsabili dei media che non possono disinteressarsi
delle conseguenze dei loro prodotti. Un’altra strada da seguire – anche
con risorse economiche – è poi la formazione dei genitori su questi temi
oltre che la promozione di una maggiore sensibilità in tutti gli ambiti
sociali”.
Davide Guarneri (Age): “Come Associazione italiana genitori rileviamo
che anche la ricerca Censis fa riferimento, appunto, alle posizioni
delle associazioni dei genitori e degli insegnanti che nei mesi scorsi
avevano manifestato molte perplessità. Per noi dell’Age permane la
perplessità sulla responsabilità che è scaricata sulla famiglia, come
utente finale, non responsabile del processo di produzione del prodotto
che giunge in tv”. In sostanza il dispositivo, “in assenza di una
promozione della qualità del prodotto – afferma il presidente dell’Age
–, è assolutamente inutile. Peraltro manca un’adeguata informazione.
Infatti non sappiamo quante famiglie italiane abbiano compreso come in
questi mesi sono stati modificati gli strumenti a disposizione delle
stesse famiglie. Certamente non è molto efficace il ‘loghino’ di vario
colore, il simbolo che viene apposto sullo schermo per segnalare la
trasmissione non adatta ai minori, perché la gente ormai ci ha fatto
l’abitudine”. Invece “sarebbe utile e interessante valorizzare sempre
più la responsabilità dei genitori, nonché predisporre una media
education attraverso il sistema dell’istruzione. In genere il mondo
degli adulti è ancora molto lontano da tutte le nuove tecnologie. E
tutto questo, chiaramente, non aiuta i genitori che si trovano davvero
soli”. Infine
Guarneri, riferendosi ai dati del Rapporto Censis, evidenzia comunque
“un piccolo elemento di speranza: all’interno del calo complessivo dei
lettori dei libri, un dato che mi hanno fatto cogliere i miei figli, i
giovani tra i 14 e i 29 anni sono i maggiori lettori di libri, fra tutte
le varie fasce d’età che sono prese in considerazione: forse anche per
il contributo della scuola, che li spinge molto a leggere”.
Andrea Melodia (Unione cattolica stampa italiana)
osserva che “solo il 9% delle famiglie con minori utilizza sistemi
digitali di controllo per limitare l’accesso ai contenuti riservati,
anche se il 72% ne conosce l’esistenza (Indagine I-Com 2012, riportata
da Censis 2012). Questo dato fa crollare la speranza che, almeno in
tempi brevi, possa essere affidata alla tecnologia la protezione dei
minori, almeno fino a quando i minori stessi saranno molto più
competenti dei loro genitori nell’uso dei terminali digitali. In questa
situazione – precisa – il parental control, più che uno strumento a
favore delle famiglie e dei minori, appare come la foglia di fico usata
per nascondere la propria vergogna da parte di chi fa cassa (ci
piacerebbe sapere quanto abbondante) proponendo sistematicamente e
massivamente contenuti pornografici. Non a caso, chi ha investito
nell’offerta di un parental control abbastanza sofisticato, e non
sappiamo quanto realmente applicato in quella piattaforma, è l’emittente
a pagamento Sky, attivissima nell’offerta di programmi pay per view
‘per adulti’. È la parte nascosta e infamante di un marchio che esibisce
qualità. Più che il parental control – conclude Melodia – credo che a
proteggere i ragazzi dall’accesso ai contenuti pornografici di Sky sia
il timore delle punizioni per i costi extra che i genitori si
troverebbero in bolletta. Vigilerei, dunque, sul pericolo della comparsa
di offerte ‘promozionali’ nel settore”.
Per Franco Mugerli (presidente uscente del Comitato media e minori)
“la funzione di parental control, presente e attivabile nella
trasmissione televisiva digitale (satellitare, digitale terrestre,
mobile) ad accesso condizionato o in chiaro, consente all’adulto di
inibire la visione ai minori di programmi in base a
un’autoclassificazione per fasce d’età predisposta
dall’emittente/fornitore di contenuti. Il così detto controllo parentale
è tecnicamente oggi applicabile non come default, ma solo dopo
iniziativa positiva da parte dell’utilizzatore singolo e comunque non è
dotato di efficienti garanzie sul soggetto che esegue un eventuale
cambio di opzione. Al contrario gli accorgimenti tecnici, previsti dalla
Direttiva europea, tali da escludere che i minori vedano o ascoltino
programmi nocivi, devono essere idonei. Tali esigenze non sono
idoneamente realizzabili dalle apparecchiature in uso in Italia per cui
l’accorgimento sarebbe solo apparente. L’attivazione da parte
dell’utente di un sistema di parental control presente nel decoder non
garantisce di per sé un’effettiva protezione da contenuti potenzialmente
nocivi. Il Comitato media e minori, raccogliendo le istanze che in
particolare l’associazionismo famigliare da tempo sollecita, ha sempre
ritenuto necessaria l’introduzione di una funzione di controllo
parentale che inibisca l’accesso a tutti i prodotti editoriali non
adatti ad un pubblico di minori, lasciando all’utente la facoltà di una
sua eventuale disattivazione tramite digitazione di un Pin”. Inoltre,
“ha ribadito che la classificazione dei contenuti dei programmi ad
accesso condizionato venga realizzata in modo imparziale e uniforme
secondo criteri chiari e condivisi, tramite un sistema di rating
sulla base di fasce d’età. Al contrario le disposizioni di legge varate
nel giugno scorso, di fatto, consentono di trasmettere contenuti nocivi a
qualsiasi ora del giorno sia sulle tv a pagamento come anche in chiaro,
con l’eccezione di pornografia e violenza efferata, consentita solo per
i programmi a richiesta e con particolari dispositivi tecnici”. Per
Mugerli, “con l’alibi del parental control, le emittenti possono così
scaricare tutta la responsabilità sulle famiglie. Spetta alle famiglie
correre ai ripari, ma il sistema del parental control è per lo più
sconosciuto e di difficile applicazione (basti pensare a una famiglia
con figli di varie età) e anche facilmente aggirabile. Nonostante la
Direttiva europea prescriva che questi programmi non possano essere
normalmente visti dai minori, le nuove disposizioni di legge sugli
accorgimenti tecnici (parental control) non saranno certo sufficienti a
evitare che i minori li vedano normalmente. Se le norme di tutela si
allentano, ancora più determinanti e centrali restano l’educazione, la
formazione, la responsabilità alle quali sono chiamate le famiglie e
tutte le agenzie educative che hanno realmente a cuore i minori”.
Elisa Manna (Censis):
“Il parental control – osserva Manna – si dimostra un tentativo del
tutto inefficace di filtrare i contenuti nocivi della televisione. Lo è
per diversi aspetti: ad esempio, la difficoltà di classificare i
contenuti che possono essere filtrati poi dal dispositivo. È evidente
che molti dei programmi televisivi non possono essere classificati
preventivamente: si pensi ai programmi sportivi o ai notiziari”.
Inoltre, “in questo momento, è attivo un tavolo tecnico presso
l’Autorità Garante che sta valutando le modalità di attivazione del
parental control per quanto riguarda i contenuti gravemente nocivi”. Ma
“è già evidente che non sarà efficace, perché i decoder sono stati ormai
venduti”. Quindi, “non si potrà inserire un dispositivo realmente
efficace per questi contenuti”. Insomma, “corriamo il serio rischio che
finiscano tranquillamente dentro le case degli italiani”.
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